CONFITIO

 

 

 

 

Abbazia di E., Italia. 9 Aprile 1371

 

 

Lo sgabello mancò di poche spanne la testa di Padre Alvaro, andando a schiantarsi malamente contro una libreria. II giovane sacerdote cadde all'indietro, travolto dall'impeto omicida.

     Chiuse gli occhi, e portò al viso le mani tremanti, in un vano tentativo di proteggersi. Udì uno scricchiolio, lo stridere del legno sul marmo, e l'ansare affannoso del proprio persecutore. Affranto, subì come un supplizio il silenzio conseguente al primo sfogo d'ira.

     Uno sbuffo. II ricadere di qualcosa, forse un oggetto, poi il peso di un corpo robusto che tornava a gravare su di uno scranno. Padre Alvaro schiuse i suoi occhi umidi, in speranzosa ricerca di un qualche segno di compassione.

     La figura dell'Abate Jean LaSoriette incombeva su di lui. Era un uomo alto e dalla corporatura ancora solida, straordinariamente vitale per la propria età. Aveva tratti duri, spartani, ed un viso allungato, reso più affilato dalla calvizie.

     II livore che si era appena scatenato in lui, una dura mancanza alla propria gelida autodisciplina, si concentrava ora sulla mano sinistra, stretta attorno al robusto bastone da passeggio. Una vena violacea era posta in evidenza al centro della fronte, segno di una violenta tensione interiore.

     “ Di tutti i delitti e le turpitudini che mi avreste potuto confessare... “ Sibilò questi, quasi che la voce venisse graffiata dai denti aguzzi. “... il peccato di sodomia e forse il più grave, mio amato confratello. “

     Fece un pausa, cercando di trattenere l'ira impetuosa che scaturiva da ogni suo minimo gesto. “L'investitura che onoro in questa abbazia, ed il mandato ricevuto da Santa Romana Chiesa, mi obbliga a concederti l'assoluzione dei peccati che qui hai confessato.“


     Respirò a fondo, instillando quanta più autorevolezza possibile alle proprie parole. Doveva misurarne ognuna e limarne il tono. Se si fosse fatto prendere la mano, di certo avrebbe finito con il gettarsi sul confratello e strangolarlo. “Come penitenza, ti confino per tre giorni e tre notti all’interno della tua cella. Ti faccio divieto di comunicare con qualsiasi altro confratello, e di avere altro pensiero che non sia rivolto alla più supplice meditazione. Potrai uscire solo di notte, per sfamarti di pane e svolgere le abluzioni. “

     Padre Alvaro potè solo rispondere con un lieve cenno del capo, ringraziando l'altissimo di una pena sì lieve.

     LaSoriette appoggio il bastione al proprio scranno, poi sollevo le sue mani tremanti sul capo del giovane sacerdote, impartendogli l'assoluzione. “ Ora va' e non peccare mai più. “

     L'ultima frase, la sollecitazione benevola alla rettitudine ed al riscatto, scaturì dalla bocca di LaSoriette come un anatema. Padre Alvaro si inginocchiò devotamente, con una buona dose di terrore in corpo, poi si defilò veloce e silenzioso come uno spettro.

     L'Abate si autoimpose di non vederlo uscire, nè di rivolgervi lo sguardo una seconda volta. Concentrò la propria attenzione sulla libreria di fronte a sè. Si accosto con passi nervosi al mobilio, scrutandone il profilo dei testi che vi aveva riposto. Non avvertì il sottile stridìo dei cardini, nè il movimento della porta alle sue spalle.

     “La vostra rabbia è giusta, Padre Jean. “ Mormorò una voce roca. “Ma non credo che quel giovane sacerdote meriti la furia che gli avete rivolto.“

     L'Abate si volse con gli occhi stretti in lame arrossate, ritrovando la figura esile ed emaciata di un anziano confratello.

     “Padre Ramon Maetilda... “ Disse, stizzito. “Come sempre il vostro passo è leggero come quello di un cospiratore. Non avrete forse spiato quanto è avvenuto in questa stanza, spero. Sarebbe disdicevole dover segnalare la cosa alla Santa Sede, denunciando la vostra incurabile e morbosa curiosità, che nell'ambito della confessione assume toni quasi sacrileghi.”


     “Sapete bene che non sono in peccato, fratello.“ Ribattè l'altro, senza mostrare alcuna reazione alle minacce che gli erano state appena proferite. “E sarà proprio la mia presenza discreta a portarvi molti onori, così come fu preziosa nello smascherare il maligno che qui si annida.“

     II vecchio camminò lentamente fino alla meta della stanza, accomodandosi poi su di una sedia a parete. “Inoltre, non è certo mia intenzione diffondere notizie su quanto avviene tra le mura di questa abbazia. Voi avete officiato il perdono a quel sacerdote, ma in realtà egli non è che una delle tante vittime di un essere abbietto. E’ quella la belva lasciva che deve essere condotta al rogo.“

     Quelle parole parvero avere l'effetto immediato d'ammansire l'Abate, che lasciò perdere il danno alla libreria per rivolgersi direttamente al proprio interlocutore. “La prima volta...“ Mormorò questi. “La prima volta che mi metteste all’erta da questa minaccia, vi confido che non sapevo come interpretare le vostre parole, e gli eventi che si scatenavano attorno a noi. Sembrava quasi che, invece di scongiurare tali turpi accadimenti, voi riusciste in qualche modo a preannunziarli.“

     Ramon Maetilda annuì gravemente con il capo, appoggiando il peso del proprio esile corpo contro lo schienale di legno. “Ero giunto qui con altri scopi, ben lontani dalla santa e terribile missione che il signore ha voluto affidarmi. E vi parlo di missione, magnificentissimo Abate, perché è ormai chiaro come il sole che questo è il compito a cui sono stato chiamato.“

     “Ormai non diffido più di quanto ci avete detto, d'altronde ho da poco ricevuto conferme in merito ai vostri sospetti,“ Sospirò LaSoriette, aggrottando I'ampia fronte. “Per quanto ai limiti della follia.“

     “Satana si avvolge spesso del manto dell'incredulità, celando in essa laide intenzioni.“

     “Un uomo che non muore,“ Mormoro l'Abate, ripetendo le parole che settimane lo ossessionavano. “Un corpo che non invecchia. Pare impossibile.“

     “Impossibile se questo fosse opera, appunto, di un uomo!“ Sbottò l'anziano, portando all'altezza del viso una mano stretta a pugno. “Ma noi non siamo innocenti novizi! Noi sappiamo che solo un essere si diletta di si strane alchimie e sortilegi.Guardate voi stesso quanta avviene all'interno di questa Abbazia!“ Ringhiò il vecchio sacerdote. “Ditemi voi, fratello, quanti casi come il povero Alvaro si sono ripetuti nell'ultimo mese, ossia da quando lo scoprii vostro ospite?!“

     “Parecchi,“ ammise l'altro, a denti stretti. “Parecchi, ed ognuno di questi unito dal medesimo spago della lussuria. Novizi sedotti, confratelli caduti nel peccato di sodomia, o più volte scoperti in ignominiose pratiche d'onanismo. Se un calice potesse simboleggiare la mia furia, esso sarebbe ora traboccante di sangue ardente.“

     “L'unico sangue che deve essere versato, e quello dell'abominio a forma d'uomo che qui ha trovato rifugio. “Le palpebre di Padre Ramon si fecero più affilate, come se tra i veli del passato scorgesse dolori ricordi. “Ma lo ricordo, me lo ricordo bene! Ero novizio al convento di Gerona, ventidue anni fa, quando egli vi trovo ospitalità. In seguito lo rincontrai a Castres, nel 1358, e poi a Praga, nel 1364.“

     La sua voce si fece stridula e sgradevole, al pari della smorfia che ne piegava i lineamenti. “Ed ora eccolo qui, in questa abbazia, con un nome diverso ma del tutto simile in corpo lineamenti! Non ho dubbi, egli è stato condannato all'eterno vagare al pari di Caino, e voi, o magnifico, non dovete esitare nel far cadere su di lui la trappola che tempo meditiamo!“

     “Calmatevi, fratello,“ lo ammonì l'Abate. “II Signore ha già disposto in merito alle vostre suppliche. Sappiate che ieri sera ho ricevuto una missiva della massima importanza. Al calar del sole, subito dopo il momento della cena, appena prima di Compieta, sarà nostro ospite un uomo in grado di investigare con cura su questa faccenda.“

     Si schiarì la voce, affinandone il tono. “ Niente meno che l’lnquisitore Generale d'Aragona, reduce da una gloriosa vittoria sui Beghini della Sicilia, ed in marcia per la Germania, dove si sta recando per dar manforte nella lotta contro l'eresia Spiritualista.“ LaSoriette pose una mano sull'esile spalla del vecchio confratello, piegando la propria bocca in un sorriso complice. “La sua fama lo precede di molte leghe, e da sempre la giustizia di Dio ne accompagna l'incedere. Saprà ben lui come occuparsi di questa misteriosa ed oscura questione.“

Etienne DeZantee

 L'eco dei passi si spense, come l'interesse di Padre Francesco da Lucca per la stanza sottostante la sua. Con precisione, ma non senza una certa celerità, il sacerdote risistemò i numerosi ciocchi di legno che solitamente riempivano la cassa a fianco del camino. Si rassettò, lanciando occhiate prudenti alle portedella stanza dei cimeli in cui si trovava, pur sapendo che nessuno aveva incarichi inerenti quell'ala dell'Abbazia.

     Rimase in silenzio per alcuni istanti, ringraziando per l'ennesima volta l'anonimo architetto di quell'edificio. Per qualche motivo che egli ignorava, non era impossibile imbattersi nei punti di sfogo di sconosciuti e misteriosi canali murati, piccole condotte segrete che consentivano di carpire gli echi d'alcune particolari stanze.

     Adesso, però, era tempo d'agire e non più di vigilare. Sapeva da tempo che la sua situazione andava peggiorando di giorno in giorno, a causa delle continue e reiterate accuse che quel vecchio Benedettino mormorava in segreto all'orecchio dell'Abate.

     D'altronde, Padre Ramon Maetilda aveva tutti i motivi per proseguire nella sua silenziosa persecuzione conto di lui. Perchè non avrebbe dovuto? L'anziano aveva ragione. Aveva perfettamente ragione.

     Lui, Francesco da Lucca, alias Etienne DeZantee, era in vita da oltre settant'anni, ma non mostrava alcun segno che intaccasse il suo aspetto di appena quarantenne. Non aveva modo, nè invero alcun motivo, di restituire il suo corpo al decadente scorrere del tempo. Ma era certo che tale inspiegabile fenomeno, in cui era incorso in maniera del tutto accidentale, non fosse opera del Demonio, ma volontà stessa di Dio.

     Chi altri, se non lui, avrebbe voluto strapparlo dalle braccia della morte?


Etienne DeZantee era un sacerdote indegno, un fornicatore, un corruttore di giovani, che si diede la morte quando comprese che la sua anima era ormai inesorabilmente lordata dal peccato. Quale miglior pasto per le avide fauci del Signore delle Mosche?

Un sacerdote rinnegato, un peccatore, per di più corrotto dall'ignobile atto del suicidio.

      Come poteva, il Maligno, lasciarsi sfuggire una preda cosi ghiotta?

      No, nell'innaturale longevità di Francesco da Lucca non c'era nulla di demoniaco. Se fosse stato certo di trovare un interlocutore degno, sarebbe addirittura riuscito a provarlo.

      La sapienza antica, com'egli ben sapeva, voleva che solo due forze potessero interagire sulla vita e sulla morte degli uomini. L'una era d'origine infernale, ma che per i motivi già citati era da escludere in questa circostanza, l'altra era proveniente solo da fonte divina. Questo semplice processo logico bastava a giustificare la propria condotta clandestina.

      Non c'era altra spiegazione possibile. Se l'Altissimo, nella sua infinita saggezza, non avesse desiderato riscattarlo prematuramente dai morti, lo avrebbe di certo lasciato morire in quella cupa pozza. Nella solitaria e segreta caverna ove conduceva le proprie concubine, Etienne si era dato la morte con erba velenosa ed aveva cercato l'abbraccio delle gelide acque che lì vi scorrevano impetuose.

      Ma da quei flutti non era stato restituito come rigido cadavere, al contrario, egli era riemerso mondato dai mali del mondo. Un'anima in cerca di redenzione, incarnata in un corpo immortale. Immune da malattie o ferite, lontano del tocco degenerante del tempo, Etienne DeZantee era rinato come Francesco da Lucca.

      Di certo si trattava di una strano prodigio, sinistramente innaturale, ma chi era lui per discutere i piani del Signore? Non era forse una condizione di riscatto preferibile al vagare nel limbo?

      Padre Francesco si riscosse, rimproverandosi per l'ennesima volta la propria reiterata abitudine a scavare nel passato. Ora si trattava di agire, di agire nel presente. L'Abbazia di E. era stata la sua casa per quasi nove anni. Un buon periodo, certo, in cui aveva messo a frutto la propria esperienza delle cose del mondo, divenendo in breve tempo un eccellente cellario.

      Come già gli era avvenuto in passato, però, la pigrizia lo aveva reso incauto e la venuta di quel vecchio Francescano sembrava richiamarlo al proprio segreto e solitario errare. Lo aveva riconosciuto subito, il giorno in cui il fratello erborista glielo aveva presentato come emissario di un qualche nobile. Nei suoi occhi piccoli e sottili, circondati dalle pieghe grinzose dell'anzianità, Francesco aveva immediatamente scorto il pericolo di una memoria troppo vivida e forte.

      Esclusa l'eventualità di sbarazzarsi di lui, la sua missione d'ambasciata proibiva di liberarsene con una coppa di vino attoscato, occorreva trovare una qualsiasi altra soluzione a quell'insidioso problema. Una notte di riflessione, però, bastò a rallegrare la sua anima e donargli una gradevole idea, un'astuzia ampiamente sufficiente a cavarlo d'impiccio.

      Per quanto si rimproverasse la sua precedente condotta immorale, motivo per cui era certo di essere stato richiamato in vita, essa gli aveva suggerito un interessante stratagemma per salvare la propria carne dall'ottusità di un inutile rogo.

      Polvere di Teangiolarum, o Pulvere d'Aqua Ardentiis come lo chiamano i volgari delle sue valli, era l'afrodisiaco che gradualmente aveva mischiato ai cibi ed alle bevande del convento. Le reazioni non erano tardate a mancare, sebbene egli stesso non avrebbe immaginato che sarebbero state di così tremenda natura.

      I quattro frati addetti alle campane, solitamente freddi ed austeri come la loro terra germanica, si erano rinchiusi nella torre campanaria ove servivano il Signore con la forza delle braccia. Ma ben d'altre membra sembravano essersi adoperati, quel giorno, nel folle dibattersi di un'orgia inenarrabile, riempiendo la valle d'anomali rintocchi.

      L'allegro e benevolo erborista, da parte sua, sembrava avesse preso ad appartarsi frequentemente con alcuni novizi. Ai loro sensi sovreccitati, ed al vigore fisico in cui parevano superarlo, egli dovette rispondere usufruendo di alcune polveri orientali in suo possesso, che si dicevano essere appartenute alla terribile setta degli Hashishin.

      Persino la sala dei balnea pareva esser contagiata da quel morbo lussurioso, al punto che l'Abate ne aveva proibito l'accesso ed ora faceva svolgere le abluzioni ai monaci nei pressi delle stalle, sottoposti alla rigida e vigile presenza dei famigli.

      Le voci dei numerosi coristi, invece, mai erano state cosi vivide e sottili.

      Ed a ogni pasto, il buon Padre Francesco aggiungeva una nuova dose di quella polvere inodore. Solo l'Abate LaSoriette sembrava non risentire ancora dell'afrodisiaco, ma questo era forse dovuto al proprio carattere vulcanico, che incanalava la tensione delle membra nell’ira anzichè nella lussuria.

      Padre Ramon Maetilda, invece, era di corporatura asciutta e sottoposto a rigida dieta da alcune turbe intestinali. I suoi pasti erano preparati a parte e Francesco non tentava d'adulterarli in alcun modo. Sapeva che la preziosa spezia, in quel caso, avrebbe indotto al proprio aguzzino malanni tali da farlo rinunciare al desinare, mentre occorreva che egli partecipasse al pasto serale di quel giorno.

      II sacerdote lanciò uno sguardo oltre gli spessi vetri della finestra principale, scorgendo il sole ormai prossimo allo zenit.

      “Ben poco tempo...“ mormorò. “E numerose commissioni ancora da svolgere.“

      Lasciò la stanza con uno sguardo allegro e la testa piena di pensieri: la cena da predisporre, l'ingresso segreto da liberare, le centosette emine di fieno da far accatastare, le istruzioni da dare al giovane famiglio Tonio, la regolamentazione delle decime mensili, Madre Beatrice e le sue figlie da visitare... nulla doveva essere lasciato al caso, specie in previsione della visita del celebre Inquisitore.

Inquisitio

Nicolas Eymerich attraversò a grandi passi il chiostro dell'Abbazia, seguito da sette uomini d'arme e dall'ufficiale in carica. L'aria della sera, mobile ed impregnata dell'odore del pini, faceva ondeggiare lembi del suo mantello, animando la sua figura allungata.

      Tutto in lui lasciava trasparire sdegno ed indignazione. Non amava inutili convenevoli e formalità, ma si aspettava d'essere accolto in modo per lo meno dignitoso dall'Abate, mentre non c'erano che famigli alla porta e non un solo monaco nei dintorni.

      Aveva fatto giungere un messo all'Abate LaSoriette, annunciando il proprio arrivo, più per necessita pratiche che altro. La scorta armata con cui era costretto a viaggiare, ulteriore ed esasperante elemento d'attrito, aveva necessità d'approvvigionamenti.

      La sosta in quella roccaforte di cristianità, lungo la strada per il confine tedesco, lo aveva fatto sperare in un rifugio sicuro ed un poco di sollievo dalla rozza compagnia dei militari. II contegno di quei monaci, invece, sembrava tutt'altro che ospitale, al punto di far emergere dalla sua mente numerosi dubbi, alimentati dalla sua naturale diffidenza.

      Si rifiutavano forse d'incontrarlo? E per quale motivo? Si trattava dell'ennesimo affronto, una delle tante manifestazioni d'ostilità dell'ordine Francescano, oppure aveva a che fare con un nugolo di Beghini?

     L'ambigua doppiezza del suo carattere emergeva nuovamente. II carattere di un uomo che detestava le attenzioni ed era restio ad esporsi, ma ugualmente non sopportava d'esser ignorato. Ma questo era solo uno dei tanti attriti interiori di Nicolas Eymerich.

      Ad ogni passo sul pavimento lastricato, Eymerich sentiva montare dentro di sè una furia violenta, dominate solo dalla sua rigida volontà d'autocontrollo. Quella pulsione aggressiva, si era imposto, sarebbe esplosa solo quando avrebbe avuto davanti i responsabili di quell'imperdonabile trascuratezza.

      L'Inquisitore superò alcuni corridoi, rimasti inspiegabilmente privi di servitori, tanto silenziosi da far quasi ritenere che l'edificio fosse del tutto abbandonato. Senza remora alcuna, valutando mentalmente quale doveva essere il percorso corretto, si diresse verso la sala che doveva essere stata usata come refettorio. I trascurati ingordi che di certo vi si stavano attardando, mal avrebbero digerito la sua spaventosa apparizione, o la presenza degli uomini d'arme che portava con sè.

      Senza attendere oltre, spalancò d'un colpo le porte di legno rinforzato, scaricando nel gesto tanta della propria rancorosa furia che appena ne avvertì lo sforzo. La scena che si schiuse davanti ai suoi occhi, ben diversa dall'accolita di ghiottoni che immaginava, ebbe su di lui un effetto paralizzante.

     Era come se le porte del tempo si fossero aperte, distorcendo I'austero scenario monacale e mostrandogli scorci dei piu laidi lupanari di Sodoma e Gomorra. Ovunque era orgia e fremito di carni, che s'agitavano frenetiche nel calore e nel fetore. Come arsi da fiamma viva, i monaci si univano ad ignude donne avvenenti (che in seguito si sarebbe scoperto essere note meretrici locali), giacendo con loro in pose invereconde e dando prova di virile vigore. Questo, almeno, quando i monaci non si trascinavano l’un l'altro nella furia dei sensi, senza intercessione alcuna da parte di femmina.

      Lo stesso Abate, riconoscibile per la centralità del suo seggio e l'abito sontuoso, era letteralmente avvinto da una prosperosa e robusta donna di malaffare, che ne soffocava il viso tra sovrabbondanti seni.

      Solo in seguito, dopo numerose ore d'interrogatorio, indicibili minacce ed inesorabilmente lente sedute di quaestio, si sarebbe appurata almeno una parte della verità. Pareva che qualcuno avesse adulterato i cibi e le bevande con una sorta di afrodisiaco, causa questa di peccaminosi precedenti su cui nessuno potè pronunciarsi. Quella notte, il dosaggio doveva essere stato esasperato, al punto che l’mpeto virile dei monaci era letteralmente esploso all’inaspettato arrivo delle numerose donne. Costoro, come si apprese, erano meretrici locali, incaricate da qualcuno di d'adoperarsi per risvegliare i sensi degli austeri religiosi, fatte penetrare nell'Abbazia grazie alla complicità di un famiglio.

      La ricostruzione dei fatti, però, rimase incompleta a causa di un vero e proprio crollo nervoso dello stesso Abate, che al termine dell'orgia versava in uno stato di distaccata alienazione. L'unico altro depositario di un qualche segreto, almeno da quanto sostenevano i monaci, era tale Padre Ramon Maetilda, un sacerdote anziano stroncato dall'infarto appena al principio dell'orgia scomposta.

      Tutto questo, però, Eymerich ancora lo ignorava. Ciò di cui era certo, invece, era della concretezza dello scenario di laida decadenza che si agitava davanti ai suoi occhi. Un'abbietta e sacrilega abominazione cui doveva assolutamente mettere fine.

      Lo smarrimento in cui era incorso non durò che qualche istante, cedendo il posto ad uno sdegno furibondo, che la sua mente affilata gia modellava in una reprimenda spietata. Alzò la mano al cielo ordinando ai suoi uomini d'intervenire con forza, mentre nei suoi occhi scintillava una luce sinistra, come l'ardere delle fiamme alla base di un rogo.

 

Respirando a pieni polmoni l'aria della notte, Padre Francesco da Lucca cavalcava in direzione della vallata vicina, con alle spalle la sagoma scura dell'Abbazia. Conscio della propria vittoria, l'immortale lasciò che dalla sua gola scaturisse una grassa risata liberatoria mentre, di quando in quando, portava alle labbra il collo di una fiasca di vino.

      L'aura della luna crescente, che riverberava sul vetro verdastro della bottiglia, lo benediceva di complice luce argentea.