Lo sgabello mancò di poche spanne
la testa di Padre Alvaro, andando a schiantarsi malamente contro una libreria.
II giovane sacerdote cadde all'indietro, travolto dall'impeto omicida.
Chiuse gli occhi, e
portò al viso le mani tremanti, in un vano tentativo di proteggersi. Udì uno
scricchiolio, lo stridere del legno sul marmo, e l'ansare affannoso del
proprio persecutore. Affranto, subì come un supplizio il silenzio conseguente
al primo sfogo d'ira.
Uno sbuffo. II ricadere di qualcosa, forse un
oggetto, poi il peso di un corpo robusto che tornava a gravare su di uno
scranno. Padre Alvaro schiuse i suoi occhi umidi, in speranzosa ricerca di un qualche
segno di compassione.
La figura dell'Abate Jean
LaSoriette incombeva su di lui. Era un uomo alto e dalla corporatura ancora
solida, straordinariamente vitale per la propria età. Aveva tratti duri,
spartani, ed un viso allungato, reso più affilato dalla calvizie.
II livore che si era
appena scatenato in lui, una dura mancanza alla propria gelida autodisciplina,
si concentrava ora sulla mano sinistra, stretta attorno al robusto bastone da
passeggio. Una vena violacea era posta in evidenza al centro della fronte,
segno di una violenta tensione interiore.
“ Di tutti i delitti
e le turpitudini che mi avreste potuto confessare... “ Sibilò questi, quasi che
la voce venisse graffiata dai denti aguzzi. “... il peccato di sodomia e forse
il più grave, mio amato confratello. “
Fece un pausa, cercando
di trattenere l'ira impetuosa che scaturiva da ogni suo minimo gesto.
“L'investitura che onoro in questa abbazia, ed il mandato ricevuto da Santa
Romana Chiesa, mi obbliga a concederti l'assoluzione dei peccati che qui hai
confessato.“
Respirò a fondo,
instillando quanta più autorevolezza possibile alle proprie parole. Doveva
misurarne ognuna e limarne il tono. Se si fosse fatto prendere la mano, di
certo avrebbe finito con il gettarsi sul confratello e strangolarlo. “Come
penitenza, ti confino per tre giorni e tre notti all’interno della tua cella.
Ti faccio divieto di comunicare con qualsiasi altro confratello, e di avere
altro pensiero che non sia rivolto alla più supplice meditazione. Potrai uscire
solo di notte, per sfamarti di pane e svolgere le abluzioni. “
Padre Alvaro potè solo rispondere con un
lieve cenno del capo, ringraziando l'altissimo di una pena sì lieve.
LaSoriette appoggio
il bastione al proprio scranno, poi sollevo le sue mani tremanti sul capo del
giovane sacerdote, impartendogli l'assoluzione. “ Ora va' e non peccare mai
più. “
L'ultima frase, la
sollecitazione benevola alla rettitudine ed al riscatto, scaturì dalla bocca di
LaSoriette come un anatema. Padre Alvaro si inginocchiò devotamente, con una
buona dose di terrore in corpo, poi si defilò veloce e silenzioso come uno
spettro.
L'Abate si autoimpose
di non vederlo uscire, nè di rivolgervi lo sguardo una seconda volta. Concentrò
la propria attenzione sulla libreria di fronte a sè. Si accosto con passi nervosi
al mobilio, scrutandone il profilo dei testi che vi aveva riposto. Non avvertì
il sottile stridìo dei cardini, nè il movimento della porta alle sue spalle.
“La vostra rabbia è
giusta, Padre Jean. “ Mormorò una voce roca. “Ma non credo che quel giovane
sacerdote meriti la furia che gli avete rivolto.“
L'Abate si volse con
gli occhi stretti in lame arrossate, ritrovando la figura esile ed emaciata di
un anziano confratello.
“Padre Ramon
Maetilda... “ Disse, stizzito. “Come sempre il vostro passo è leggero come
quello di un cospiratore. Non avrete forse spiato quanto è avvenuto in questa
stanza, spero. Sarebbe disdicevole dover segnalare la cosa alla Santa Sede,
denunciando la vostra incurabile e morbosa curiosità, che nell'ambito della confessione
assume toni quasi sacrileghi.”
“Sapete bene che non
sono in peccato, fratello.“ Ribattè l'altro, senza mostrare alcuna reazione
alle minacce che gli erano state appena proferite. “E sarà proprio la mia
presenza discreta a portarvi molti onori, così come fu preziosa nello
smascherare il maligno che qui si annida.“
II vecchio camminò
lentamente fino alla meta della stanza, accomodandosi poi su di una sedia a
parete. “Inoltre, non è certo mia intenzione diffondere notizie su quanto
avviene tra le mura di questa abbazia. Voi avete officiato il perdono a quel
sacerdote, ma in realtà egli non è che una delle tante vittime di un essere
abbietto. E’ quella la belva lasciva che deve essere condotta al rogo.“
Quelle parole parvero
avere l'effetto immediato d'ammansire l'Abate, che lasciò perdere il danno alla
libreria per rivolgersi direttamente al proprio interlocutore. “La prima
volta...“ Mormorò questi. “La prima volta che mi metteste all’erta da questa
minaccia, vi confido che non sapevo come interpretare le vostre parole, e gli
eventi che si scatenavano attorno a noi. Sembrava quasi che, invece di
scongiurare tali turpi accadimenti, voi riusciste in qualche modo a
preannunziarli.“
Ramon Maetilda annuì
gravemente con il capo, appoggiando il peso del proprio esile corpo contro lo
schienale di legno. “Ero giunto qui con altri scopi, ben lontani dalla santa e
terribile missione che il signore ha voluto affidarmi. E vi parlo di missione,
magnificentissimo Abate, perché è ormai chiaro come il sole che questo è il
compito a cui sono stato chiamato.“
“Ormai non diffido
più di quanto ci avete detto, d'altronde ho da poco ricevuto conferme in merito
ai vostri sospetti,“ Sospirò LaSoriette, aggrottando I'ampia fronte. “Per
quanto ai limiti della follia.“
“Satana si avvolge
spesso del manto dell'incredulità, celando in essa laide intenzioni.“
“Un uomo che non
muore,“ Mormoro l'Abate, ripetendo le parole che settimane lo ossessionavano.
“Un corpo che non invecchia. Pare impossibile.“
“Impossibile se questo fosse opera, appunto, di un
uomo!“ Sbottò l'anziano, portando all'altezza del viso una mano stretta a
pugno. “Ma noi non siamo innocenti novizi! Noi sappiamo che solo un essere si diletta
di si strane alchimie e sortilegi.Guardate voi stesso quanta avviene
all'interno di questa Abbazia!“ Ringhiò il vecchio sacerdote. “Ditemi voi,
fratello, quanti casi come il povero Alvaro si sono ripetuti nell'ultimo mese,
ossia da quando lo scoprii vostro ospite?!“
“Parecchi,“ ammise
l'altro, a denti stretti. “Parecchi, ed ognuno di questi unito dal medesimo
spago della lussuria. Novizi sedotti, confratelli caduti nel peccato di
sodomia, o più volte scoperti in ignominiose pratiche d'onanismo. Se un calice
potesse simboleggiare la mia furia, esso sarebbe ora traboccante di sangue
ardente.“
“L'unico sangue che
deve essere versato, e quello dell'abominio a forma d'uomo che qui ha trovato
rifugio. “Le palpebre di Padre Ramon si fecero più affilate, come se tra i veli
del passato scorgesse dolori ricordi. “Ma lo ricordo, me lo ricordo bene! Ero
novizio al convento di Gerona, ventidue anni fa, quando egli vi trovo
ospitalità. In seguito lo rincontrai a Castres, nel 1358, e poi a Praga, nel
1364.“
La sua voce si fece
stridula e sgradevole, al pari della smorfia che ne piegava i lineamenti. “Ed
ora eccolo qui, in questa abbazia, con un nome diverso ma del tutto simile in
corpo lineamenti! Non ho dubbi, egli è stato condannato all'eterno vagare al
pari di Caino, e voi, o magnifico, non dovete esitare nel far cadere su di lui
la trappola che tempo meditiamo!“
“Calmatevi,
fratello,“ lo ammonì l'Abate. “II Signore ha già disposto in merito alle vostre
suppliche. Sappiate che ieri sera ho ricevuto una missiva della massima
importanza. Al calar del sole, subito dopo il momento della cena, appena prima
di Compieta, sarà nostro ospite un uomo in grado di investigare con cura su
questa faccenda.“
Si schiarì la voce,
affinandone il tono. “ Niente meno che l’lnquisitore Generale d'Aragona, reduce
da una gloriosa vittoria sui Beghini della Sicilia, ed in marcia per la
Germania, dove si sta recando per dar manforte nella lotta contro l'eresia
Spiritualista.“ LaSoriette pose una mano sull'esile spalla del vecchio
confratello, piegando la propria bocca in un sorriso complice. “La sua fama lo
precede di molte leghe, e da sempre la giustizia di Dio ne accompagna
l'incedere. Saprà ben lui come occuparsi di questa misteriosa ed oscura questione.“
Etienne DeZantee
L'eco dei passi si spense, come l'interesse di Padre
Francesco da Lucca per la stanza sottostante la sua. Con precisione, ma non
senza una certa celerità, il sacerdote risistemò i numerosi ciocchi di legno
che solitamente riempivano la cassa a fianco del camino. Si rassettò, lanciando
occhiate prudenti alle portedella stanza dei cimeli in cui si trovava, pur
sapendo che nessuno aveva incarichi inerenti quell'ala dell'Abbazia.
Rimase in silenzio
per alcuni istanti, ringraziando per l'ennesima volta l'anonimo architetto di
quell'edificio. Per qualche motivo che egli ignorava, non era impossibile
imbattersi nei punti di sfogo di sconosciuti e misteriosi canali murati,
piccole condotte segrete che consentivano di carpire gli echi d'alcune
particolari stanze.
Adesso, però, era
tempo d'agire e non più di vigilare. Sapeva da tempo che la sua situazione
andava peggiorando di giorno in giorno, a causa delle continue e reiterate
accuse che quel vecchio Benedettino mormorava in segreto all'orecchio
dell'Abate.
D'altronde, Padre
Ramon Maetilda aveva tutti i motivi per proseguire nella sua silenziosa
persecuzione conto di lui. Perchè non avrebbe dovuto? L'anziano aveva ragione.
Aveva perfettamente ragione.
Lui, Francesco da
Lucca, alias Etienne DeZantee, era in vita da oltre settant'anni, ma non
mostrava alcun segno che intaccasse il suo aspetto di appena quarantenne. Non
aveva modo, nè invero alcun motivo, di restituire il suo corpo al decadente
scorrere del tempo. Ma era certo che tale inspiegabile fenomeno, in cui era
incorso in maniera del tutto accidentale, non fosse opera del Demonio, ma
volontà stessa di Dio.
Chi altri, se non lui, avrebbe voluto
strapparlo dalle braccia della morte?
Etienne DeZantee era un
sacerdote indegno, un fornicatore, un corruttore di giovani, che si diede la morte
quando comprese che la sua anima era ormai inesorabilmente lordata dal peccato.
Quale miglior pasto per le avide fauci del Signore delle Mosche?
Un sacerdote rinnegato, un peccatore, per di più corrotto
dall'ignobile atto del suicidio.
Come poteva, il Maligno, lasciarsi
sfuggire una preda cosi ghiotta?
No,
nell'innaturale longevità di Francesco da Lucca non c'era nulla di demoniaco.
Se fosse stato certo di trovare un interlocutore degno, sarebbe addirittura
riuscito a provarlo.
La sapienza
antica, com'egli ben sapeva, voleva che solo due forze potessero interagire
sulla vita e sulla morte degli uomini. L'una era d'origine infernale, ma che
per i motivi già citati era da escludere in questa circostanza, l'altra era
proveniente solo da fonte divina. Questo semplice processo logico bastava a
giustificare la propria condotta clandestina.
Non c'era altra
spiegazione possibile. Se l'Altissimo, nella sua infinita saggezza, non avesse
desiderato riscattarlo prematuramente dai morti, lo avrebbe di certo lasciato
morire in quella cupa pozza. Nella solitaria e segreta caverna ove conduceva le
proprie concubine, Etienne si era dato la morte con erba velenosa ed aveva
cercato l'abbraccio delle gelide acque che lì vi scorrevano impetuose.
Ma da quei flutti non era stato
restituito come rigido cadavere, al contrario, egli era riemerso mondato dai
mali del mondo. Un'anima in cerca di redenzione, incarnata in un corpo
immortale. Immune da malattie o ferite, lontano del tocco degenerante del tempo,
Etienne DeZantee era rinato come Francesco da Lucca.
Di certo si
trattava di una strano prodigio, sinistramente innaturale, ma chi era lui per
discutere i piani del Signore? Non era forse una condizione di riscatto
preferibile al vagare nel limbo?
Padre Francesco
si riscosse, rimproverandosi per l'ennesima volta la propria reiterata
abitudine a scavare nel passato. Ora si trattava di agire, di agire nel
presente. L'Abbazia di E. era stata la sua casa per quasi nove anni. Un buon
periodo, certo, in cui aveva messo a frutto la propria esperienza delle cose
del mondo, divenendo in breve tempo un eccellente cellario.
Come già gli
era avvenuto in passato, però, la pigrizia lo aveva reso incauto e la venuta di
quel vecchio Francescano sembrava richiamarlo al proprio segreto e solitario
errare. Lo aveva riconosciuto subito, il giorno in cui il fratello erborista
glielo aveva presentato come emissario di un qualche nobile. Nei suoi occhi
piccoli e sottili, circondati dalle pieghe grinzose dell'anzianità, Francesco
aveva immediatamente scorto il pericolo di una memoria troppo vivida e forte.
Esclusa
l'eventualità di sbarazzarsi di lui, la sua missione d'ambasciata proibiva di
liberarsene con una coppa di vino attoscato, occorreva trovare una qualsiasi
altra soluzione a quell'insidioso problema. Una notte di riflessione, però,
bastò a rallegrare la sua anima e donargli una gradevole idea, un'astuzia
ampiamente sufficiente a cavarlo d'impiccio.
Per quanto si
rimproverasse la sua precedente condotta immorale, motivo per cui era certo di
essere stato richiamato in vita, essa gli aveva suggerito un interessante
stratagemma per salvare la propria carne dall'ottusità di un inutile rogo.
Polvere di Teangiolarum,
o Pulvere d'Aqua Ardentiis come lo chiamano i volgari delle sue
valli, era l'afrodisiaco che gradualmente aveva mischiato ai cibi ed alle
bevande del convento. Le reazioni non erano tardate a mancare, sebbene egli
stesso non avrebbe immaginato che sarebbero state di così tremenda natura.
I quattro frati
addetti alle campane, solitamente freddi ed austeri come la loro terra
germanica, si erano rinchiusi nella torre campanaria ove servivano il Signore
con la forza delle braccia. Ma ben d'altre membra sembravano essersi adoperati,
quel giorno, nel folle dibattersi di un'orgia inenarrabile, riempiendo la valle
d'anomali rintocchi.
L'allegro e
benevolo erborista, da parte sua, sembrava avesse preso ad appartarsi
frequentemente con alcuni novizi. Ai loro sensi sovreccitati, ed al vigore
fisico in cui parevano superarlo, egli dovette rispondere usufruendo di alcune
polveri orientali in suo possesso, che si dicevano essere appartenute alla
terribile setta degli Hashishin.
Persino la sala
dei balnea pareva esser contagiata da quel morbo lussurioso, al punto
che l'Abate ne aveva proibito l'accesso ed ora faceva svolgere le abluzioni ai
monaci nei pressi delle stalle, sottoposti alla rigida e vigile presenza dei
famigli.
Le voci dei numerosi coristi,
invece, mai erano state cosi vivide e sottili.
Ed a ogni
pasto, il buon Padre Francesco aggiungeva una nuova dose di quella polvere
inodore. Solo l'Abate LaSoriette sembrava non risentire ancora
dell'afrodisiaco, ma questo era forse dovuto al proprio carattere vulcanico,
che incanalava la tensione delle membra nell’ira anzichè nella lussuria.
Padre Ramon
Maetilda, invece, era di corporatura asciutta e sottoposto a rigida dieta da
alcune turbe intestinali. I suoi pasti erano preparati a parte e Francesco non
tentava d'adulterarli in alcun modo. Sapeva che la preziosa spezia, in quel
caso, avrebbe indotto al proprio aguzzino malanni tali da farlo rinunciare al
desinare, mentre occorreva che egli partecipasse al pasto serale di quel giorno.
II sacerdote
lanciò uno sguardo oltre gli spessi vetri della finestra principale, scorgendo
il sole ormai prossimo allo zenit.
“Ben poco
tempo...“ mormorò. “E numerose commissioni ancora da svolgere.“
Lasciò la
stanza con uno sguardo allegro e la testa piena di pensieri: la cena da
predisporre, l'ingresso segreto da liberare, le centosette emine di fieno da
far accatastare, le istruzioni da dare al giovane famiglio Tonio, la
regolamentazione delle decime mensili, Madre Beatrice e le sue figlie da
visitare... nulla doveva essere lasciato al caso, specie in previsione della
visita del celebre Inquisitore.
Inquisitio
Nicolas Eymerich
attraversò a grandi passi il chiostro dell'Abbazia, seguito da sette uomini
d'arme e dall'ufficiale in carica. L'aria della sera, mobile ed impregnata
dell'odore del pini, faceva ondeggiare lembi del suo mantello, animando la sua
figura allungata.
Tutto in lui
lasciava trasparire sdegno ed indignazione. Non amava inutili convenevoli e
formalità, ma si aspettava d'essere accolto in modo per lo meno dignitoso
dall'Abate, mentre non c'erano che famigli alla porta e non un solo monaco nei
dintorni.
Aveva fatto
giungere un messo all'Abate LaSoriette, annunciando il proprio arrivo, più per
necessita pratiche che altro. La scorta armata con cui era costretto a
viaggiare, ulteriore ed esasperante elemento d'attrito, aveva necessità
d'approvvigionamenti.
La sosta in
quella roccaforte di cristianità, lungo la strada per il confine tedesco, lo
aveva fatto sperare in un rifugio sicuro ed un poco di sollievo dalla rozza
compagnia dei militari. II contegno di quei monaci, invece, sembrava tutt'altro
che ospitale, al punto di far emergere dalla sua mente numerosi dubbi,
alimentati dalla sua naturale diffidenza.
Si rifiutavano
forse d'incontrarlo? E per quale motivo? Si trattava dell'ennesimo affronto,
una delle tante manifestazioni d'ostilità dell'ordine Francescano, oppure aveva
a che fare con un nugolo di Beghini?
L'ambigua doppiezza
del suo carattere emergeva nuovamente. II carattere di un uomo che detestava le
attenzioni ed era restio ad esporsi, ma ugualmente non sopportava d'esser
ignorato. Ma questo era solo uno dei tanti attriti interiori di Nicolas
Eymerich.
Ad ogni passo
sul pavimento lastricato, Eymerich sentiva montare dentro di sè una furia
violenta, dominate solo dalla sua rigida volontà d'autocontrollo. Quella
pulsione aggressiva, si era imposto, sarebbe esplosa solo quando avrebbe avuto
davanti i responsabili di quell'imperdonabile trascuratezza.
L'Inquisitore
superò alcuni corridoi, rimasti inspiegabilmente privi di servitori, tanto
silenziosi da far quasi ritenere che l'edificio fosse del tutto abbandonato.
Senza remora alcuna, valutando mentalmente quale doveva essere il percorso
corretto, si diresse verso la sala che doveva essere stata usata come
refettorio. I trascurati ingordi che di certo vi si stavano attardando, mal
avrebbero digerito la sua spaventosa apparizione, o la presenza degli uomini
d'arme che portava con sè.
Senza attendere
oltre, spalancò d'un colpo le porte di legno rinforzato, scaricando nel gesto
tanta della propria rancorosa furia che appena ne avvertì lo sforzo. La scena
che si schiuse davanti ai suoi occhi, ben diversa dall'accolita di ghiottoni
che immaginava, ebbe su di lui un effetto paralizzante.
Era come se le porte
del tempo si fossero aperte, distorcendo I'austero scenario monacale e
mostrandogli scorci dei piu laidi lupanari di Sodoma e Gomorra. Ovunque era
orgia e fremito di carni, che s'agitavano frenetiche nel calore e nel fetore.
Come arsi da fiamma viva, i monaci si univano ad ignude donne avvenenti (che in
seguito si sarebbe scoperto essere note meretrici locali), giacendo con loro in
pose invereconde e dando prova di virile vigore. Questo, almeno, quando i monaci
non si trascinavano l’un l'altro nella furia dei sensi, senza intercessione
alcuna da parte di femmina.
Lo stesso
Abate, riconoscibile per la centralità del suo seggio e l'abito sontuoso, era
letteralmente avvinto da una prosperosa e robusta donna di malaffare, che ne
soffocava il viso tra sovrabbondanti seni.
Solo in
seguito, dopo numerose ore d'interrogatorio, indicibili minacce ed
inesorabilmente lente sedute di quaestio, si sarebbe appurata almeno una
parte della verità. Pareva che qualcuno avesse adulterato i cibi e le bevande
con una sorta di afrodisiaco, causa questa di peccaminosi precedenti su cui
nessuno potè pronunciarsi. Quella notte, il dosaggio doveva essere stato
esasperato, al punto che l’mpeto virile dei monaci era letteralmente esploso
all’inaspettato arrivo delle numerose donne. Costoro, come si apprese, erano
meretrici locali, incaricate da qualcuno di d'adoperarsi per risvegliare i
sensi degli austeri religiosi, fatte penetrare nell'Abbazia grazie alla
complicità di un famiglio.
La
ricostruzione dei fatti, però, rimase incompleta a causa di un vero e proprio
crollo nervoso dello stesso Abate, che al termine dell'orgia versava in uno
stato di distaccata alienazione. L'unico altro depositario di un qualche
segreto, almeno da quanto sostenevano i monaci, era tale Padre Ramon Maetilda,
un sacerdote anziano stroncato dall'infarto appena al principio dell'orgia
scomposta.
Tutto questo,
però, Eymerich ancora lo ignorava. Ciò di cui era certo, invece, era della
concretezza dello scenario di laida decadenza che si agitava davanti ai suoi
occhi. Un'abbietta e sacrilega abominazione cui doveva assolutamente mettere
fine.
Lo smarrimento
in cui era incorso non durò che qualche istante, cedendo il posto ad uno sdegno
furibondo, che la sua mente affilata gia modellava in una reprimenda spietata.
Alzò la mano al cielo ordinando ai suoi uomini d'intervenire con forza, mentre
nei suoi occhi scintillava una luce sinistra, come l'ardere delle fiamme alla
base di un rogo.
Respirando a
pieni polmoni l'aria della notte, Padre Francesco da Lucca cavalcava in
direzione della vallata vicina, con alle spalle la sagoma scura dell'Abbazia.
Conscio della propria vittoria, l'immortale lasciò che dalla sua gola
scaturisse una grassa risata liberatoria mentre, di quando in quando, portava
alle labbra il collo di una fiasca di vino.
L'aura della
luna crescente, che riverberava sul vetro verdastro della bottiglia, lo
benediceva di complice luce argentea.